FULVIO, 1996

Fuori la notte scivola veloce mentre l’ automobile si muove rapida nel buio intermittente dell’ autostrada. Una striscia bianca l’ asfalto, lo sguardo che si sposta dal volante al cielo.
Seduto rigido, la schieda dritta, le nocche delle dita bianche per lo sforzo di concentrazione, lui pensa. Potrebbe durare in eterno questo viaggio. Si potrebbe restarci seduti mesi, anni, su questo sedile, gli occhi fissi sulla strada, questa linea retta che continua all’infinito attraverso l’anonimo, piatto paesaggio. In realtà si potrebbe persino smettere, di pensare, ché tanto bastano le mani sul volante, gli occhi che a tratti si stringono impercettibilmente, le spalle che cambiano appena posizione.
Esiste un momento, un preciso, chiaro momento, in qualsiasi cosa si faccia, che la gela di eternità. Un’ eternità modesta, per euforica o disperata che sia, un’ eternità di attimi sempre uguali.
La strada, la macchina, il corpo pietrificato dalla concentrazione. Una piccola eternità che passa attraverso fanali che lampeggiano, insegne che si perdono, luci gialle che insistenti bruciano l’ attenzione per poi scomparire.
E la sensazione che fuori la notte, fondendosi col metallo, penetri lentamente nella macchina per impadronirsi silenziosa del volante.
Poi arrivi dove stavi andando.

(Silvia rilegge e corregge Silvia, di nuovo. Fuori il sole di marzo, qui un raffreddore in arrivo).

DI PRIMI BACI, 2009

E’ sera. Il locale ha le luci basse, le sedie di legno e il menu scritto a gessetto bianco su una lavagnetta fuori dalla porta. Lui l’ha aspettata all’angolo della strada, lei si è emozionata a sentire il suono della sua voce.
Ora lo guarda attraverso i riflessi del vino rosso, nel bicchiere prima, in corpo poi. Parlano, quel modo di parlare di sè come se si fosse altro, quasi giocando a nascondino, chè fino all’ultimo non si sa cosa succederà.
Poi succede – la cena è finita, le parole pure. Anche il locale è alle spalle, e il bacio arriva all’improvviso. E’ uno di quei baci di quando fuori è già un po’ primavera  ma l’aria è ancora fredda. Le labbra, invece, sono calde: del vino, del locale, delle parole dette fino a poco tempo prima. Arriva alla conclusione di un movimento del braccio di lui che la avvicina dolcemente a sè, fino a superare lo spazio che ancora rimane tra le punte fredde dei due nasi, l’impaccio delle sciarpe e quella timidezza lì che ride, ride e ancora cerca di fare resistenza (o è una posa?).
E’ un bacio bello, di quella bellezza che hanno tutti i primi baci quando sono l’attraversamento di una soglia: quel momento magico in cui si ottiene il permesso di accedere l’uno all’altro e si comincia ad esplorarsi, a cominciare dalle mani, che si cercano come se dovessero darsi conferma di esistere ancora.
Tutto intorno sembra che adesso sia il mondo a ridere, sempre più forte, mentre il buio nasconde l’emozione (arrossire per un bacio? Si, arrossire per quel bacio) e qualcosa comincia.

(Silvia rilegge e corregge Silvia. E’ giovedì, c’è il sole e tira vento. Lo stereo è incredibilmente spento).