ELECTIONS FOR DUMMIES

Avrei voluto iniziare questo post con un elenco silenzioso delle invettive che ho trovato stamattina aprendo la mia pagina di Facebook e indirizzate agli elettori del Pd.
La più leggera era coglioni, poi si saliva fino a puttane. C’era anche democristiani, certo, ma questa se non altro ha un sapore se non più intelligente, almeno politicamente e ideologicamente connotato. Le altre, ecco, un po’ meno.
Ho deciso di non farlo, ovviamente. Soprattutto perchè il punto non è l’invettiva e nemmeno chi l’ha scritta. Ancora meno, vi assicuro, la sua appartenenza politica. Quello su cui vorrei concentrarmi è la mia reazione: mi sono sentita chiamata in causa. E non vagamente, non umanamente in quanto persona che ha votato diversamente, no.
Mi sono sentita chiamata in causa in quanto elettrice del Pd.
Potrà sembrarvi strano: pur avendo più o meno sempre votato da quelle parti negli ultimi vent’anni, questa è la prima volta che mi sono sentita parte di uno schieramento politico.
Traduco: si, sono schierata. No, non ho votato il meno peggio. No, non ho dato un voto utile, insomma: ho votato con una certa convinzione.
Beh, ovviamente ha aiutato non aver avuto molte alternative.
No, non è vero, una c’era. E l’ho considerata (non sarebbe stata la prima volta). Poi ho deciso diversamente.
Vorrei riuscire a spiegare bene cosa e come è successo – vorrei che si ripetesse. A me, intendo, prima ancora che ad altri: perché il cambiamento più grande in questi ultimi mesi è avvenuto a me.
Credo che il punto davvero centrale sia che per queste elezioni europee ho potuto votare delle persone. Come ha detto più volte qualcuno scherzando ma nemmeno troppo – e quando mi ricapiterà un’occasione simile?

Le persone, loro, sono state la mia terza via: la possibilità di uscire dignitosamente da quel terribile binomio, dall’angosciante stallo innaturale del non sapere cosa fare – in bilico tra un partito che ufficialmente esprimeva (ed esprime tuttora) posizioni davvero poco di sinistra (sinistra, sì, sono a sinistra, da sempre: una sinistra che so bene cosa sia e che ancora esiste) e un resto che non faceva altro che urlarmi nelle orecchie bestemmiando che tutto (TUTTO!!1!) era uno schifo e andava distrutto – non cambiato, distrutto – senza dirmi cos’altro si sarebbe poi fatto per ricostruire.

A proposito, una premessa: sono cresciuta in una famiglia nella quale ‘non votare’ non esisteva. Semplicemente no, non si discute: votare è un dovere; tu vota, poi se ne parla. Se non voti niente dibattito, niente lamentele, niente di niente.
Un obbligo morale dunque, quasi un dogma, che si è tradotto in tutti questi anni – perché negarlo? Ho iniziato a votare quando Berlusconi ha vinto per la prima volta e già allora sapevo cosa significasse quella vittoria – in una battaglia interiore durissima. Come solo le battaglie interiori possono essere – su questo sono sempre stata molto rigorosa, quando non crudele con me stessa (grazie mamma).

Eppure a questo giro ero seriamente intenzionata a non votare: per me la sconfitta più grande, insomma.
Sono ripartita grazie alle persone.
Le prime, quelle che ho incontrato sui social network: niente come l’entusiasmo di qualcuno che ti piace, di cui impari a fidarti, con il quale hai interessi comuni. E’ talmente banale che va detto, detto e ribadito allo sfinimento: cercatele, le persone. In tutti i modi possibili – quanti sono gli strumenti che avete a disposizione oggi. Saranno la vostra salvezza se saprete farne buon uso, se saprete capire. Che significa, in definitiva, se saprete fare spazio (mica facile, eh. Fare spazio, si, ma anche fare lo spazio giusto).
Poi mi sono informata. Sono uscita e sono andata a sentire le persone che avrei voluto conoscere prima di votarle. Altra cosa banale da dire: ho visto e conosciuto un mondo un po’ diverso. E mi sono ritrovata a riflettere e a parlare. Più che altro ad ascoltare, ecco. E a pensare, tanto.
Per me questo è l’unico modo ancora valido per muoversi. Politicamente, certo, ma non solo. Per credere. Politicamente certo, ma non solo. Perché in fondo se per certe cose bastano una bevuta e tante chiacchere, per altre no. A parte che prima di tutto bisogna volerle fare, quelle chiacchere: bisogna rispondere alle domande, farle quando serve, uscire di casa qualche volta. Mettersi, e restiamo nell’incredibile novero delle banalità, in movimento.
Cominciare. (Ri)cominciare.
Non ho mai creduto nei cambiamenti improvvisi e totali. Non ho mai creduto nei capovolgimenti risolutori, nell’uomo solo al comando, nell’unica, valida soluzione. Non ho mai creduto agli slogan, non ho mai amato chi urla, chi bestemmia, chi irride e chi minaccia. Ho sempre diffidato di chi faceva appello alla mia pancia, di chi mi invitava ad avere paura, a odiare, a urlare il mio disagio, che pure è tanto. Non ho mai amato le lusinghe. Le quantità, i numeroni, le rassicurazioni semplicistiche.
Come potete vedere non c’è molto che sopravvive a questo elenco nel panorama politico (e non solo) attuale nel nostro paese.
Diciamo dunque sono stata io che ho deciso che alcune persone – poche pochissime, un numero quasi irrisorio – e le loro idee (e come le dicevano, non dimentichiamolo!) valevano la pena di essere ascoltate, pensate, discusse. Le ho trovate e ho deciso, sempre io, di non lasciarmele scappare.
Molto semplicemente: è stata la mia occasione per sopravvivere a tutto quell’elenco che avete letto poco sopra.
Quindi sì, ecco: da questo punto di vista il mio è stato un voto utile, utilissimo: per me.

Queste persone fanno parte del Pd. No, di più: rappresentano il Pd che voglio io – quella sinistra che vorrei ci fosse al potere nel mio paese.
Quindi non crediate che sia tutto facile, che non veda le contraddizioni, che non soffra per molte, molte cose che vedo e sento fare da questo partito: prima tra tutte, beh, lo sapete e lo so: la poca sinistra. I modi, i tempi, la dialettica di questo governo. Non sono renziana, non lo sono mai stata e non credo che lo diventerò.
Quindi da questo punto di vista sono io stessa, con il mio voto, una contraddizione in termini.
Però penso una cosa: meglio in questo modo, la contraddizione. Meglio continuare a dialogare il più possibile. Meglio cercare di fare spessore, acquistare peso e consapevolezza così, piuttosto che il resto. Che poi resto non è.
Perché poi a buttare via acqua sporca, bambino, bacinella e sapone boh, che rimane?

Meglio la testa della pancia. Meglio la critica, il dibattito, il confronto. Sempre. Meglio l’illusione ostinata della disperazione senza via d’uscita. Meglio la cultura dell’ignoranza. Meglio la gentilezza (la tenerezza, beh, aiuta). Che non è idiozia. Che è voluta e consapevole e che, per quanto mi riguarda, non sapete quanto possa essere testarda.
Meglio questo scontro, anche quando i dubbi e le domande sono giornalieri. Niente, proprio niente deve essere dato per scontato.
Ecco, basta. Credo che questa sia la mia più forte dichiarazione politica di sempre.

Che poi se la maggioranza – o anche meno, basta urlare per farsi sentire di più – vorrà prendere in mano mazze e bastoni non potrò comunque farci proprio niente.
Io a botte non ho mai saputo fare.